AFI Awards 2012: Argo, quando Ben Affleck diventa un ossimoro

La locandina del film

Un ossimoro vivente si potrebbe definire lo sex symbol Ben Affleck. Ossimoro perché da una parte si ha l’Affleck attore, sempre compassato, immobile e concentrato fin troppo meccanicamente sia nel ruolo che ricopre sia nel suo status di amato dalle donne, e dall’altra c’è l’Affleck autore, un connubio di solidità ed estro che ormai non stupisce nemmeno più. La sua vena la si era carpita già quando insieme con il suo amico Matt Damon aveva cosceneggiato Will Hunting e da quando cinque anni fa si era posizionato dietro la macchina da presa per il suo primo Gone Baby Gone, tutti lo avevano etichettato, critici e pubblico, come una sorpresa interessante. Affleck poi decide di continuare su questa strada e The Town lo consacra tra i migliori giovani autori, anche se di pari passo continua il suo mediocre lavoro attoriale.




La locandina della falsa produzione del 1979
Per il suo terzo film si getta a capofitto su un soggetto molto impegnato ed impegnativo, una di quelle storie che sembrano talmente astruse da sembrare annesse al cinema stesso. Argo è una missione, è un film nel film. Nel 1979, la rivoluzione in Iran è fuori controllo e un’ambasciata americana viene presa d’ostaggio per 400 giorni. Tutti gli impiegati diventano per il mondo i sequestrati e i capri espiatori simbolo di quella rivoluzione. Sei di loro però, tutti ambasciatori americani, trovano il modo di fuggire per rifugiarsi da un collega canadese. In questo travaglio rivoluzionario e mediatico entra in gioco l’agente della CIA Tony Mendez, esfiltratore di professione, che orchestra quella che passerà alla storia come una delle missioni più estrose ed efficaci della storia dello spionaggio. Mettendo in piedi una vera produzione cinematografico-fantascientifica fanno passare i sei per una troupe canadese in sopralluogo nella capitale iraniana.

John Goodman, Alan Arkin e Ben Affleck in una scena del film
La storia dice che solo nel 1997 questa vicenda venne resa nota dalla CIA stessa, da principio impossibilitati e Affleck ricalca a dovere, con una sceneggiatura solida e una regia ferma, decisa e perfettamente in linea con le pellicole politiche di quegli anni, la tensione e la frenesia di quella rivoluzione. Argo non è il solito dramma però, non è un apogeo di politichese e guerriglie, ma un accorto e stimolante percorso storico e verosimile, intervallato con particolare sapienza da intramezzi comici, grazie soprattutto a due veterani come John Goodman e Alan Arkin, intenti a tenere in piedi la farsa della produzione fantascientifica. Perché Argo è anche un gran parter di attori e poco importa se il viso immutabile di Affleck si trova in mezzo a tanta bravura, anzi la sua monotematicità funge da fulcro passivo che dipana la vicenda. Conclude il tutto una perfetta fotografia. Possiamo gridare insieme al protagonista “Argo vaffanculo”, frase chiara, ironica e semplice che descrive con efficacia tutto il film.


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